Ad ogni ospite del Parkinson Cafè la sua storia
Una storia speciale. Unica. Difficile. A volte dolorosa. Parlare con Barbara Vezzaro ti mette di fronte ad una consapevolezza tutta d’un pezzo. Non è sempre facile accettare una malattia quando sei nel pieno dei tuoi anni, della tua vitalità, dei tuoi progetti di vita e di lavoro. Ma si sa il Parkinson non bussa alla tua porta per chiederti il permesso di entrare. Ti aspetta fuori, ti gira intorno, ti fa capire di esserci anche se ancora non si fa vedere. Tu lo sai ma non lo vuoi ammettere.
“Ho il Parkinson da ormai 17 anni – ci spiega Barbara – e forse la cosa più difficile di questo percorso, più della gestione della malattia, più dei disagi che essa comporta è stato dover fare i conti con la realtà e quindi accettarlo. Non si è mai veramente pronti ma ci sono momenti in cui proprio la mente si rifiuta di accogliere una novità così pesante, soprattutto quando la tua vita richiede ritmi ed energie che sono a dir poco compatibili con la malattia”. Eh sì perchè Barbara ha la natura nel cuore. Un tempo titolare di un’azienda florovivaistica, poi trasformata in azienda orticola a coltivazione biodinamica, sa bene quanto importanti siano le forze e le energie per favorire fertilità e vitalità dei terreni, ottenere frutti speciali e far fiorire la natura.
“Il Parkinson mi accompagna ormai da 17 anni da quando avevo 41 anni. Ci sono voluti otto mesi per capire che effettivamente si trattava di Parkinson. Si è presentato in maniera subdola, si è nascosto per bene, tanto che l’unico sintomo importante era un dolore al polso scambiato agli inizi per tunnel carpale. E’ stato il neurologo a fugare ogni dubbio e a chiarire con una Tac di cosa si trattava”.
“Il Parkinson come un macigno”
“E la diagnosi è stata come un macigno, difficile, difficilissimo da accettare. Ma piano piano ho reso la malattia parte della mia vita e per circa 14 anni sono riuscita a tenerla a bada. Ho continuato nella mia attività nelle serre a prendermi cura delle mie piante. Aumentando anche le responsabilità, perchè quello era il mio mondo. Fino al 2015“. Un velo scende nel viso e nel tono di voce di Barbara che rivive, mentre racconta, quei momenti difficili. “Nel 2015 prendevo una terapia per l’ipertensione che ha avuto l’effetto opposto, ho perso i sensi e mi sono trovata in ospedale incosciente con il rischio di non rimettermi più in piedi. Fortunatamente ho trovato lungo la mia strada medici preparati che mi hanno seguito e hanno capito come gestire questo momento da cui sono uscita più forte e consapevole, anche del fatto che non avrei più potuto gestire la mia attività nel vivaio. Da qui la scelta dolorosa di cedere l’attività pur continuando a frequentare le serre, per sentirmi parte di quel mondo che mi appartiene”.
Ma il Parkinson non fa sconti e mentre la mente e l’umore volano il fisico fa i capricci. Ed è così che Barbara si rompe un polso. E’ un segnale, banale se vogliamo, ma pur sempre un avviso concreto a fermarsi, che Barbara accoglie. E si ferma. Decide di assecondare la malattia, curarla al meglio per trovare il modo di prendersi cura di se stessa. Ed è in questi mesi, i mesi della consapevolezza che Barbara entra a far parte dell’Associazione “Donne in campo” della CIA – Confederazione Italiana Agricoltori e fa capolino al Parkinson Cafè, realtà conosciuta grazie ad amici e giornali ma mai presa in considerazione.
“Qui respiro serenità”
“Sapevo che c’era. Abitando qui vicino ne avevo sentito parlare. Ma aprire quella porta significava accettare di averne bisogno, di essere come gli altri ammalati. E non volevo trovarmi in una situazione difficile dal punto di vista emotivo. Non avrei potuto sopportare contesti negativi e poco stimolanti. E invece così non è stato: qui si respira serenità, si viene volentieri e il beneficio va oltre la ginnastica e il fatto di uscire. Il Parkinson Cafè ti fa stare bene”.
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